“Mi ha sorpreso improvvisamente, mentre camminavo in una giornata afosa.
Mi sentivo le gambe molli e il corpo strano. Non riuscivo a pensare, ero troppo spaventato ed era come se tutto fosse irreale ”.
Potrebbero essere le parole di Edvard Munch che dipinse la sua sofferenza e l’espressione del panico come un urlo che proveniva da tutta la natura.
Munch descrisse bene anche a parole il motivo per cui spesso chi ha attacchi di panico si trova ad affrontare un stato di tale emergenza da recarsi al pronto soccorso.
Recentemente è stata scoperta una piccola scritta sul fondo del quadro dell’ Urlo che lo raffigura durante un attacco “può essere dipinto solo da un pazzo”, perchè un dolore così si fa fatica a pensare che possa essere di natura emotiva, si ha paura che tutto vada a pezzi persino la propria mente, si è portati a pensare ad eventualità effettivamente pericolose.
I sintomi che si manifestano denotano l’ attivazione del sistema nervoso autonomo: respiro affannoso, palpitazioni, tremori, sudorazione, vampate di caldo o freddo, formicolii, vertigini, sensazioni di soffocamento, sensazione svenimento.
Mentre un senso soggettivo di morte imminente penetra l’esperienza di chi prova il panico.
Spesso siamo orientati a pensare con ostinazione che debba essere un problema medico che non è stato correttamente individuato.
Se i tuoi esami medici sono negativi e pensi spesso una o più delle seguenti affermazioni potrebbe trattarsi di panico:
– Vomiterò
- Potrei perdere il controllo
- Mi sembra di svenire
- Devo avere un tumore celebrale
- Forse è un infarto
- Sto per morire soffocato
- Sento che sto per fare una sciocchezza
- Sto per diventare cieco
- Oh no è un attacco di panico
- Sto per mettermi a urlare
- Rimarrò paralizzato dallo spavento
- Morirò per un ictus
- Potrei far male a qualcuno
Due domande che puoi porti sono:
Quanto temi le sensazioni che provi nel tuo corpo?
Quanto pesano le limitazioni che ti stai imponendo , di quali esperienze e opportunità ti stai privando ?
Spesso il panico può essere accompagnato dall’ agorafobia la paura di tutti quei luoghi in cui si potrebbero manifestare gli attacchi e da cui si farebbe fatica ad allontanarsi, quindi posti affollati o in cui si è lontani da casa, luoghi come la spiaggia, l’ufficio postale, la macchina.
Per natura la mente umana cerca delle spiegazioni, molte volte ho sentito descrivere dalle persone che hanno avuto attacchi di panico l’esperienza come connotata da un senso di incomprensibilità, proprio perchè l’ipotesi dell’ iperventilazione non viene considerata.
In maniera automatica si crea un nesso tra la causa degli attacchi e il luogo in cui avvengono, l’ambiente, che viene connesso al panico per il principio di “condizionamento classico”, una modalità di associazione automatica degli stimoli attraverso la quale avvengono alcuni apprendimenti.
Uno dei luoghi comuni che circolano per la risoluzione del panico è il “mito del sacchetto” .
La respirazione in un sacchetto viene utilizzata per riequilibrare i livelli di anidride carbonica quando questa è inferiore a quello che serve per far sì che l’emoglobina rilasci l’ossigeno del sangue, questo squilibrio è effettivamente presente nell’ iperventilazione dovuta allo stato di panico.
La strategia del sacchetto non è la tecnica di respirazione più sicura, la sua efficacia rimane legata al solamente ripristino dell’ equilibrio tra anidride carbonica e ossigeno in quanto si respira l’anidride carbonica dell’ aria precedentemente espirata. Utilizzare il respiro come “salva vita” però non è risolutivo rispetto al problema.
Ciò che può dare sicurezza è che di per sé l’emozione non è dannosa per il nostro organismo.
La terapia cognitivo-comportamentale è indicata come il trattamento elettivo sia degli attacchi di panico che dell’ agorafobia (APA, 2009; Sanches-Meca et al., 2010).
Diversi studi ed esperienze cliniche dimostrano l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale (ad es. Barlow et al., 2002) con tassi di risposta media del 70% ed oltre (Mitte, 2005): le combinazioni di trattamenti cognitivi con esposizione sono efficaci in 2/3 dei casi di panico con agorafobia, mentre per il panico senza agorafobia il miglioramento interessa circa l’85% dei casi (Roth e Fonagy, 1996) .
Non è infrequente che il panico sia associato a depressione o difficoltà relazionali.
Le vie di fuga possono diventare trappole, il comfort ciò che ci dà forza e sembra definire i confini delle nostre sicurezze.
La strada che non percorro, i sentimenti che non mi concedo di provare, le convinzioni come quella che l’ansia provochi ictus, con cui mi proteggo, si trasformano in legami, in vincoli che abbiamo verso noi stessi e il modo in cui ci definiamo.
La vera sicurezza arriva quando impariamo a dire “ lo saprò affrontare…”
Dott.ssa Elisa Sartoretto
American Psychiatric Association’s (APA), Practice Guideline for the Treatment of Patients With Panic Disorder, Second Edition, (2009), http:/ /www.psychiatryonline.com/pracGuide/pracGuideTopic_9.aspx.
Barlow, D. H. (2002). Anxiety and its disorders: The nature and treatment of anxiety and panic (2nd ed.). New York: Guilford
Mitte K. A meta-analysis of the efficacy of psycho- and pharmacotherapy in panic disorder with and without agoraphobia. J Affect Disord. 2005 Sep;88(1):27-45. doi: 10.1016/j.jad.2005.05.003. PMID: 16005982.
Roth, A, Fonagy, P. What works for whom? A critical review of psychotherapy research. Guildford Press, New York 1996.
Sanches-Meca, J., Rosa-Alcazar, A.I., Martin-Martinez, F., & Gomez-Conesa, A. (2010). Psychological treatment of panic with and without agoraphobia: a meta-analysis. Clinical Psychology Review, 30, 37-50.